Ogm, si riapre il dibattito

01/10/2014

Grazie alla continua opera di Confagricoltura, negli ultimi giorni si è riaperto in Italia il dibattito sugli Organismi Geneticamente Modificati.
Da sempre il nostro presidente nazionale Mario Guidi ha sostenuto che nella prossima Expo di Milano 2015, visto che il titolo dell’esposizione universale sarà “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, non si potrà non parlare anche delle coltivazioni Ogm.
Recentemente, a seguito di una raccolta firme operata dalle nostre Federazioni regionali di Veneto e Lombardia, il Senatore a vita e ricercatrice, Elena Cattaneo, sostenuta anche dalla richiesta di centinaia di suoi colleghi ricercatori italiani, ha presentato un’interpellanza parlamentare, nella quale chiede al Ministro delle Politiche Agricole di spiegare come mai in Italia si sia intrapresa una strada difficile da comprendere.
La stessa Senatrice Cattaneo, in un recente convegno organizzato da Confagricoltura a Mantova, ha denunciato l’infondatezza delle argomentazioni che hanno portato al blocco della ricerca e della sperimentazione su questo tema, con grave danno non solo per il mondo agricolo, ma anche per la stessa comunità scientifica.
Tra il 1961 e il 2005, mentre la popolazione mondiale cresceva del 111%, la produzione agricola è aumentata del 162%. Nel 1950 sulla Terra un miliardo di persone su un totale di due miliardi e mezzo soffriva la fame, mentre oggi lo stesso pianeta fornisce cibo a sufficienza per più di sei miliardi di persone, su un totale di sette miliardi. In circa sessanta anni la popolazione mondiale che soffriva di fame e malnutrizione è scesa dal 40 al 15%. Ciò grazie ad una sola cosa: l’innovazione. E gli Ogm fanno parte del progresso tecnologico. Tutte le varietà e le specie che vengono utilizzate in agricoltura sono frutto dell’intervento di miglioramento genetico dell’uomo ed è difficile sostenere scientificamente che l’uso di un’ulteriore tecnica quale quella utilizzata per produrre Ogm, sia meno ‘naturale’ di quelle usate finora.
Se si prende ad esempio la coltura del mais, la piralide è uno dei maggiori fattori di rischio di contaminazione anche per le aflatossine, dopo caldo e siccità. Le aflatossine, classificate come sicuramente cancerogene, sono più rare ma molto più tossiche delle fumonisine ed hanno la caratteristica di passare nel latte e quindi nei formaggi. Ad oggi le varietà di mais geneticamente modificate per resistere alla piralide sono il mezzo di gran lunga più efficiente per il suo controllo e sono state ritenute sicure per l’uomo e l’ambiente dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e dalle più credibili istituzioni internazionali. Da un punto di vista ambientale, inoltre, andrebbe considerato che il mais resistente alla piralide non solo riduce la distribuzione nell’ambiente di insetticidi non selettivi, ma richiede meno acqua, energia, concimi e agrofarmaci per essere prodotto, dal momento che a parità di input si ottiene il 10 per cento in più di produzione.
Si potrebbero fare altri esempi, uniti al fatto che tutti i giorni nel nostro Paese sbarcano navi piene di cereali oppure soia Ogm, che vengono usati per la produzione dei prodotti tipici vanto della nostra Nazione e tutto questo senza che gli agricoltori italiani possano anche solo fare della sperimentazione in questo settore.
Risulta anche curioso che se da un lato l’Unione Europea vuole normare e standardizzare quasi tutto, sulla coltivazione Ogm lascia ad ogni Stato membro la possibilità di decidere…
Buone norme di coesistenza permetterebbero ai produttori di scegliere cosa produrre e ai consumatori cosa consumare. Certamente l’uso di queste colture e del progresso tecnologico devono essere responsabili e come tali in qualche modo regolamentati, ma senza che principi non negoziabili, quali la libertà imprenditoriale, siano cancellati. Che è invece quello che stiamo vedendo in questi anni.

Luca Brondelli