I nostri terreni sono davvero così inquinati?

01/06/2016

Recentemente un rapporto dell’ISPRA, riferito agli anni 2013-2014 e pubblicizzato su tantissimi organi di stampa, ha riportato un consistente aumento di residui di fitofarmaci nelle acque e nei terreni, soprattutto in Pianura Padana.
Lo studio ha confrontato le concentrazioni con i limiti fissati a livello europeo da diverse normative.
Lo studio sostiene che si sono rilevate concentrazioni superiori alla SQA (Standard di qualità ambientale) nel 21,3% dei casi, con un aumento del 4,3% rispetto alle rilevazioni del biennio 2011- 2012.
Penso sia dovere di noi agricoltori cercare di interpretare meglio questi dati e capire se ci sono delle nostre responsabilità e come, eventualmente, rimediare.
Iniziamo col dire che le sostanze che hanno determinato il maggior numero di superamenti del limite sono il Glifosate e il metabolita AMPA (uno dei principali prodotti di degradazione sempre del Glifosate).
Questa rivelazione, proprio nel momento in cui si sta discutendo del rinnovo dell’autorizzazione all’uso del Glifosate in Europa, potrebbe anche risentire del forte indirizzo politico che il nostro Ministero dell’Ambiente ha dato alla questione.
Anche l’impostazione data alla presentazione dei dati, che in realtà non si sono discostati molto dal precedente rapporto, con maggior enfasi ai risultati negativi, ci fa pensare che ci sia stato un preciso indirizzo politico.
La stampa ha dato ampio risalto allo studio, anche se la stessa ISPRA ha denunciato i limiti dello stesso: disomogeneità territoriale del monitoraggio (concentrato quasi solo in Pianura Padana), diversi standard applicati dai laboratori, difficoltà di individuazione delle sorgenti di contaminazione.
Inoltre lo studio non consente di valutare effetti e miglioramenti che si riscontrano quasi ovunque dovuti all’uso di minori quantità di fitofarmaci, di molecole meno invasive e della costante crescita dei terreni coltivati a biologico.
La prima cosa che deve farci riflettere è che molte delle sostanze trovate in dosi eccessive non sono più autorizzate in Europa e in Italia da decenni.
Non è stato poi rilevato che dai dati riportati dalla stessa ISPRA la qualità delle acque sia superficiali che sotterranee sia in costante miglioramento.
Insomma, la cautela è ovviamente d’obbligo, ma prima di mettere ancora una volta l’agricoltura sul banco degli imputati sarebbe bene verificare se la fonte di inquinamento non sia forse da ricercare in altri settori, come quello industriale per esempio. E anche rimarcare che il sistema hobbistico (che in totale utilizza volumi di prodotti molto elevati) non abbia tuttora alcun controllo. E ancora, chi controlla l’impatto che ha sull’inquinamento l’uso dei fitofarmaci usati da ferrovie, autostrade e pubbliche amministrazioni?
A noi agricoltori viene sempre più richiesto di rispettare normative molto restrittive come il PAN; comunque il continuo sviluppo dell’agricoltura biologica e delle misure agroambientali (probabilmente ingiustamente sottovalutate anche dai nostri politici) deve far capire che la nostra volontà di rispettare l’ambiente è forse maggiore di altre categorie e per questo chiediamo rispetto.

Luca Brondelli