Caporalato: «Legge giusta, ma vanno migliorati alcuni aspetti». Il presidente di Confagricoltura Giansanti al convegno di UniMoRe

10/11/2017

“L'intento perseguito dalla legge n.199/2016 - lotta al caporalato ed allo sfruttamento del lavoro - è sicuramente condivisibile; si tratta di una legge di civiltà”. Lo ha detto il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, intervenendo ieri al convegno "Le novità sul contrasto al lavoro nero e al caporalato", organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (UNIMORE). Confagricoltura denuncia da sempre tali fenomeni a tutela delle tante imprese che operano nel rispetto della legalità. “Lo dimostrano, tra le altre cose, i quattro avvisi comuni sottoscritti con i sindacati dei lavoratori negli ultimi anni – ha continuato - nonché il “Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro agricolo”del 2016, cui sono seguiti diversi accordi attuativi sottoscritti a livello territoriale. Inoltre, abbiamo introdotto, all'interno dell’ Organizzazione, codici etici che impongono agli imprenditori il rispetto delle norme sul lavoro pena l'esclusione dalla base associativa”.

La legge però, a parere dell’Organizzazione agricola, presenta alcuni aspetti che possono essere migliorati, a partire dalle disposizioni di carattere penale che estendono la punibilità al datore di lavoro, a prescindere dall’intervento del caporale, a fronte anche di violazioni lievi e occasionali, in modo da evitare il rischio di margini di discrezionalità nella sua applicazione.

I numerosi Ordini del giorno approvati dal Parlamento contestualmente alla legge e incentrati proprio su alcune di queste criticità, insieme agli orientamenti espressi dalla migliore dottrina giuslavorista e penalista, dimostrano, almeno sul piano tecnico-giuridico, che la nuova legge richiede una correzione che la riconduca alle sue, condivisibili, finalità.

“Da parte nostra – ha proseguito il presidente di Confagricoltura - restiamo convinti che la vera battaglia all'illegalità e all'irregolarità del lavoro si combatta sul terreno della vigilanza. Piuttosto che introdurre nuovi adempimenti e nuove sanzioni, è necessario intensificare i controlli, utilizzando al meglio la mole di informazioni già nella disponibilità delle diverse amministrazioni, facendo finalmente dialogare in modo efficace le banche dati (un esempio per tutti: INPS/AGEA/organismi pagatori territoriali)”.

Giansanti ha quindi ricordato che la legge n. 199/2016 non contiene solo disposizioni volte a rendere più efficace la vigilanza e la repressione dei fenomeni di sfruttamento, ma anche misure volte a migliorare le condizioni di svolgimento del lavoro in agricoltura.

“I problemi che il Piano di interventi previsto dalla legge avrebbe dovuto affrontare - ha detto il presidente di Confagricoltura - sono rimasti del tutto insoluti, a partire dal grave ritardo nel sistema di collocamento pubblico, che non è mai stato in grado di garantire alle imprese agricole un efficace reclutamento di ingenti quantitativi di manodopera in brevi periodi nel corso delle grandi campagne di raccolta. Un’altra questione mai risolta è quella riguardante il trasporto dei lavoratori, in assenza di un servizio efficace da parte delle amministrazioni locali”.

A tale riguardo Confagricoltura ritiene che potrebbero essere efficacemente coinvolti l’Eban e gli enti bilaterali territoriali, considerati la loro composizione ed il loro ruolo istituzionale, per favorire domanda ed offerta di lavoro di qualità in agricoltura.
Giansanti si è quindi soffermato sulla “Rete del lavoro agricolo di qualità”, strumento su cui il Governo aveva puntato molto per la lotta al caporalato ed allo sfruttamento del lavoro in agricoltura e che non ha dato i risultati auspicati. “Ad oggi le aziende che risultano iscritte sono solo poco più di 2.000 - ha spiegato - a fronte di una platea di 180.000 potenziali interessati. Ciò a causa dei requisiti troppo rigidi e dell’assenza di vantaggi concreti dall’iscrizione. La Rete, inoltre, viene impropriamente utilizzata dalla grande distribuzione come strumento di selezione dei propri fornitori, alterando la concorrenza tra i produttori agricoli.”