Roma 11 maggio - Assemblea di Confagricoltura

11/05/2011

Competitività significa confrontarsi con il mercato 365 giorni all’anno, come sanno bene i nostri imprenditori, per mantenere e magari
conquistare ancora più quote di mercato. Ecco perché occorre creare il più possibile quelle precondizioni perché le imprese aumentino la loro presenza sui mercati, accrescano la produzione e la produttività, riducano i costi - diretti ed indiretti, anche quelli legati alla burocrazia ed ai tanti rigidi vincoli normativi - siano facilitate nell’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo.
Abbiamo intanto un problema di crescita anche in agricoltura. A livello globale l’incremento della popolazione mondiale e del reddito disponibile in alcune aree, uniti al cambiamento degli stili alimentari, fa aumentare gradualmente la domanda di cibo, creando nuove interessanti opportunità e spazi di mercato da occupare.
Tutto ciò si svolge mentre le norme nazionali e sovranazionali accrescono il differenziale di competitività tra le imprese italiane/europee e quelle dei principali Paesi concorrenti. A vantaggio ovviamente di queste ultime.
Si sono caricati sulle imprese oneri burocratici di varia natura che stanno, giorno dopo giorno, costando alle imprese tempo e  danaro. Avevamo a suo tempo calcolato in oltre 100 giornate l’anno questo onere - con un apposito studio promosso da Confagricoltura - che ora probabilmente è da ricalcolare in aumento perché gli adempimenti sono aumentati invece di diminuire (si pensi ad esempio alla nuova materia relativa al sistema di rintracciabilità dei rifiuti).
Si è troppo sovente pensato di dover orientare con le norme l’attività del fare impresa e influenzare le scelte che spettano invece al solo imprenditore. Inquadrare le attività, anche quelle nuove, come la produzione di energia da fonti rinnovabili, va bene, ma non deve
prevalere il dirigismo, creando e poi mettendo a rischio con un tratto di penna intere filiere.
Senza tenere conto, ancora una volta, della competitività e dei rapporti con i concorrenti degli altri Paesi. Così si è agito anche sul fronte delle biotecnologie dove si è chiusa del tutto la porta ad una importante innovazione e anche alla sua sperimentazione, mettendo una seria ipoteca sulla nostra competitività come sistema Paese.
Si sono poi ridimensionati alcuni strumenti della politica comunitaria, che è stata più che altro “neutralizzata” nei suoi effetti sui mercati più che nella dotazione finanziaria. Occorre qui un maggiore sforzo comune per entrare nel vivo del negoziato a Bruxelles che sta disegnando la Pac per il “post 2013”.
Noi organizzazioni professionali, cooperative e sindacati del mondo agricolo, abbiamo fatto la nostra parte approvando un documento comune sulla questione. Ora tocca al Ministro ed ai nostri Europarlamentari riprendere queste idee e farne parte integrante della posizione italiana a Bruxelles ed a Strasburgo.
Poi ci sono alcune riforme urgenti da realizzare e su cui da tempo Confagricoltura punta la sua attenzione. L’erogazione dei pagamenti diretti comunitari agli agricoltori è un elemento essenziale per la garanzia del loro reddito. Ma ad oltre quindici anni dalla riforma di Aima e la creazione di Agea e degli Organismi pagatori regionali occorre una riflessione su quanto è stato fatto e su come migliorare
concretamente questa macchina.
Una macchina che funziona a due velocità sul territorio nazionale con un federalismo incompiuto che certo non giova e soprattutto con meccanismi amministrativi gestionali basati sull’informatica che ancora non sono del tutto a regime.
E questa sembra una cosa impossibile se si pensa che di tempo per il rodaggio ce n’è stato eccome. C’è la necessità di incentivare di
più la ricerca e l’innovazione, elementi essenziali per le imprese competitive.
Una riflessione che più generale deve, a nostro avviso, richiamare il Governo e il Parlamento a prendere posizione sui vari dossier con uno sguardo attento alla congiuntura, allo scenario complessivo e soprattutto a  tutto ciò che oggi può agevolare la competitività delle imprese.
Abbiamo speso molto nel disciplinare  la vendita diretta dei prodotti agricoli. Un’iniziativa condivisibile, che completa un quadro giuridico carente per le imprese che intendono dedicarsi a questa attività ed accorciare del tutto la distanza tra “il campo e la tavola”. Ma ci ritroviamo anche oggi a discutere del fatto che, in una fase di squilibri e volatilità dei mercati, manca una disciplina della contrattazione e delle pratiche commerciali auspicabili con la GDO.
Così come mentre abbiamo dedicato molto tempo al varo della legge sull’etichettatura di origine, non abbiamo invece messo mano ad un’azione di rilancio del made in Italy agroalimentare nel mondo con strumenti di promozione dell’internazionalizzazione funzionali alle esigenze delle imprese.
Non abbiamo risolto – per citare esempi più settoriali – problemi più specifici come il collocamento del tabacco nazionale presso le manifatture. Su questo chiediamo al Ministro Romano di proseguire con la stipula di altri Accordi Quadro con le manifatture che vogliono
continuare ad investire sul mercato italiano per favorire un comparto che tanta importanza ha per l’occupazione nelle campagne.
C’è infine l’annosa questione delle quote latte, di cui occorrerà, una buona volta, scrivere la parola “fine” facendo prevalere i
principi di legalità e di etica imprenditoriale.