Valida la soccida con mangimi forniti dal soccidante

04/11/2013

Non è simulato il contratto di soccida semplice in cui si stabilisce che il soccidante fornisca il mangime al soccidario. L’Amministrazione Finanziaria non può contestare l’abuso del diritto, recuperando a tassazione la presunta IVA risparmiata dal contribuente, perché il conferimento degli alimenti da parte di quest’ultimo all’allevatore (soccidante) non è una pattuizione che contrasta con la funzione economico-sociale del contratto agrario in questione. Questo è quanto sostenuto, in sostanza, dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19738/1 del 28 agosto u.s. Nello specifico, la Sezione Tributaria del Palazzaccio ha accolto il ricorso di una società nei cui confronti sono stati emessi due avvisi di rettifica IVA per gli anni 1997 – 1998 sulla scorta del PVC con cui la Guardia di Finanza ha contestato il carattere simulato di un contratto di soccida intercorso tra la contribuente e altra società, quindi l’obbligo di fatturazione delle prestazioni permutative ai sensi degli articoli 11 e 13 del D.P.R. n. 633 del 1972. Con il ricorso in cassazione la società ha evidenziato come la CTR regionale abbia considerato simulato il contratto di soccida sull’unico presupposto che il soccidante forniva il mangime al soccidario, sicché si è ritenuto che le prestazioni offerte dal soccidante non potessero rientrare fra le attività agricole per le quali vigeva il regime di non assoggettabilità a IVA. Ebbene, a giudizio degli Ermellini, la previsione, all’interno di un contratto di soccida semplice, di una pattuizione che garantisca al soccidario il mangime corrisposto integralmente dal soccidante, non introduce nel contratto “un elemento capace di inficiare la funzione economico-sociale del tipo negoziale, normativamente correlata alla ripartizione fra gli associati dell’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne derivano (art. 2170 comma 1 c.c.), semmai contribuisce a rappresentare la reale funzione pratica che le parti hanno inteso perseguire attraverso l’utilizzo dello schema contrattuale della soccida, modulato in relazione ai rapporti economici che le stesse parti intendevano regolare secondo i rispettivi interessi attraverso la previsione che il mangime fosse conferito dal soccidante”. In altri termini, la pattuizione di cui si è detto, non altera la “ragione pratica” del contratto né si pone in attrito con la norma imperativa di cui all’articolo 2178 del codice civile, secondo cui è nullo il patto per il quale il soccidario deve sopportare nella perdita una parte maggiore di quella spettantegli nel guadagno. La Cassazione, nell’occasione, ha ricordato che la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli, incombe sul Fisco, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza delle ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino operazioni in quel modo strutturate. Tale sentenza resta pertanto un precedente importante sulla difesa della natura del contratto associativo di soccida.