Progetto politico - economico

02/04/2010
PROGETTO POLITICO - ECONOMICO PER LA COMPETITIVITA’ E LA MODERNIZZAZIONE DELLE IMPRESE AGRICOLE ITALIANE In collaborazione con Executive Summary In collaborazione conNOMISMA – Società di studi economici s.p.a. Nomisma è un Istituto di studi economici, fondato nel 1981 con sede a Bologna, al cui capitale sociale partecipano più di ottanta azionisti fra gruppi industriali, assicurazioni, istituti di credito italiani ed esteri. La parola “nomisma” indicava nel greco antico il valore reale delle cose: in questo spirito Nomisma si propone quale osservatorio sui principali fenomeni dell’economia reale e della società contemporanea. Nomisma compie ricerche a livello internazionale, nazionale e locale sui fattori di produzione, sull’economia dei settori e delle imprese, sui problemi dello sviluppo e – in genere – sui fenomeni che influiscono sulla struttura, il comportamento ed i risultati delle economie contemporanee. Nuovi scenari per l’agricoltura L’agricoltura italiana si confronta oggi con uno scenario di forti cambiamenti e di grandi sfide. Uno scenario che sta rimettendo in discussione i modelli di sviluppo della stessa società moderna. Mentre l’ONU stima per il 2050 una popolazione mondiale di quasi 9 miliardi di persone, la FAO prevede che per soddisfarne le esigenze alimentari la produzione agricola dovrà aumentare di almeno il 70%. Questo incremento si accompagnerà necessariamente ad un aumento dei consumi di energia, di acqua nonché ad uno sfruttamento delle risorse naturali e delle emissioni inquinanti. Contemporaneamente, in considerazione di un processo di liberalizzazione dei mercati mondiali avviato nella convinzione di apportare vantaggi ai consumatori ma trascurando le dinamiche della produzione, l’Europa paradossalmente scopre nel biennio 2007-2008 di essere vulnerabile sul fronte dell’approvvigionamento di beni agricoli con pesanti ricadute sia sulla tenuta delle imprese del settore primario che sui prezzi dei prodotti alimentari. Senza dimenticare come l’emergenza dei cambiamenti climatici in atto nel pianeta finisce con il rendere ulteriormente difficile raggiungere questo equilibrio tra aumento della domanda alimentare, incremento della produzione agricola e preservazione delle risorse naturali. Ruolo, competitività e redditività dell’agricoltura italiana In questo scenario, l’agricoltura italiana non può e non vuole sottrarsi dal fornire il proprio contributo per la produzione di servizi ambientali (i cosiddetti beni pubblici) e per la sicurezza alimentare, intesa nel duplice risvolto di food security e food safety, cioè di garanzia dell’approvvigionamento e contestuale sanità degli alimenti. Ma affinché le imprese agricole possano fornire un apporto efficace al raggiungimento di questa duplice categoria di obiettivi, occorre che le stesse siano dotate di vitalità e capaci di sostenersi economicamente che, tradotto in altri termini, significa essere in grado di generare redditività. Non può esistere multifunzionalità dell’agricoltura, tutela del paesaggio, garanzia di sicurezza alimentare senza redditività. Negli ultimi vent’anni, la superficie “gestita” a livello nazionale dagli agricoltori è passata da 15,1 a 12,7 milioni di ettari, evidenziando così una pericolosa tendenza all’abbandono e al degrado dell’ambiente rurale. Occorre comprendere come un tessuto agricolo vitale sia strategico per un Paese come l’Italia, per il quale il paesaggio, il territorio e l’ambiente rappresentano valori di estrema rilevanza per l’intero sistema socioeconomico nazionale. Basti pensare al ruolo svolto dal settore primario nella fornitura di prodotti agricoli per i consumatori, per la cultura e per l’industria alimentare: cosa sarebbe del modello di consumo alimentare, della cucina italiana e del “made in Italy” conosciuto nel mondo senza il contributo della produzione agricola nazionale? Purtroppo però, l’agroalimentare italiano rispetto ai principali competitor europei soffre di un ritardo competitivo di estrema rilevanza. Sul fronte internazionale, la quota diexport agroalimentare italiano nel commercio mondiale è passata, tra il 2004 e il 2008, dal 3,3% al 3%, sottendendo cali per tutti i principali prodotti del cosiddetto “made in Italy”: dal vino all’olio d’oliva, dall’ortofrutta agli insaccati. Nel mercato interno, l’invecchiamento dei consumatori (gli over 65 anni saranno il 33,6% della popolazione italiana nel 2050) unito al crescente aumento degli immigrati incide in maniera strutturale sui modelli di consumo; contestualmente, la rapida e progressiva affermazione in Italia della Grande Distribuzione Organizzata (la cui quota nella vendita di prodotti alimentari è passata dal 50,2% del 1996 al 70,5% nel 2008) ha completamente modificato le modalità di distribuzione dei prodotti agroalimentari ed allo stesso tempo cambiato profondamente le relazioni tra i vari attori della filiera, imprese agricole comprese. Senza dimenticare come, nel contesto dell’intera filiera alimentare, la marginalità sia strutturalmente limitata. La presenza di forti “sacche di inefficienza” e di una spiccata polverizzazione impediscono di fatto il ricorso ad economie di scala, implicando così una maggiore incidenza dei costi di lavoro, capitale e finanziamento. A fronte di tutti i costi considerati (sia interni alla filiera che esterni come trasporti, packaging, energia, ecc) si stima infatti un utile di filiera, cioè il valore che rimane agli azionisti/imprenditori, pari ad appena 3 euro su 100 del valore della spesa alimentare in Italia. Un guadagno che viene diviso tra tutti gli attori economici: imprese agricole, industrie alimentari, catene distributive. Perdita di competitività e modifiche strutturali nel mercato non potevano quindi non impattare direttamente sulla redditività delle imprese agricole. Complice anche una crisi economica internazionale senza precedenti, la redditività delle imprese agricole italiane è calata, tra il 2004 e il 2008 del 38%, contro una media europea che si è fermata ad un -7% e a quella delle imprese francesi rimasta sostanzialmente stabile. Se si allarga l’ambito di analisi al 2000 e si esclude il biennio segnato dalla crisi, il dato sul valore aggiunto per addetto agricolo mostra segnali di “involuzione” del settore ancora più preoccupanti: mentre le imprese dei principali paesi agricoli europei (Francia, Spagna, Olanda) evidenziano incrementi dell’indice compresi tra un +15% e un +23%, nel caso del nostro sistema agricolo si assiste ad un -2%. Dunque, mentre le imprese agricole europee crescono in termini di competitività e redditività, quelle italiane rimangono “al palo”. PROGETTO POLITICO - ECONOMICO PER LA COMPETITIVITA’ E LA MODERNIZZAZIONE DELLE IMPRESE AGRICOLE ITALIANE In collaborazione con Executive Summary In collaborazione conNOMISMA – Società di studi economici s.p.a. Nomisma è un Istituto di studi economici, fondato nel 1981 con sede a Bologna, al cui capitale sociale partecipano più di ottanta azionisti fra gruppi industriali, assicurazioni, istituti di credito italiani ed esteri. La parola “nomisma” indicava nel greco antico il valore reale delle cose: in questo spirito Nomisma si propone quale osservatorio sui principali fenomeni dell’economia reale e della società contemporanea. Nomisma compie ricerche a livello internazionale, nazionale e locale sui fattori di produzione, sull’economia dei settori e delle imprese, sui problemi dello sviluppo e – in genere – sui fenomeni che influiscono sulla struttura, il comportamento ed i risultati delle economie contemporanee. Nuovi scenari per l’agricoltura L’agricoltura italiana si confronta oggi con uno scenario di forti cambiamenti e di grandi sfide. Uno scenario che sta rimettendo in discussione i modelli di sviluppo della stessa società moderna. Mentre l’ONU stima per il 2050 una popolazione mondiale di quasi 9 miliardi di persone, la FAO prevede che per soddisfarne le esigenze alimentari la produzione agricola dovrà aumentare di almeno il 70%. Questo incremento si accompagnerà necessariamente ad un aumento dei consumi di energia, di acqua nonché ad uno sfruttamento delle risorse naturali e delle emissioni inquinanti. Contemporaneamente, in considerazione di un processo di liberalizzazione dei mercati mondiali avviato nella convinzione di apportare vantaggi ai consumatori ma trascurando le dinamiche della produzione, l’Europa paradossalmente scopre nel biennio 2007-2008 di essere vulnerabile sul fronte dell’approvvigionamento di beni agricoli con pesanti ricadute sia sulla tenuta delle imprese del settore primario che sui prezzi dei prodotti alimentari. Senza dimenticare come l’emergenza dei cambiamenti climatici in atto nel pianeta finisce con il rendere ulteriormente difficile raggiungere questo equilibrio tra aumento della domanda alimentare, incremento della produzione agricola e preservazione delle risorse naturali. Ruolo, competitività e redditività dell’agricoltura italiana In questo scenario, l’agricoltura italiana non può e non vuole sottrarsi dal fornire il proprio contributo per la produzione di servizi ambientali (i cosiddetti beni pubblici) e per la sicurezza alimentare, intesa nel duplice risvolto di food security e food safety, cioè di garanzia dell’approvvigionamento e contestuale sanità degli alimenti. Ma affinché le imprese agricole possano fornire un apporto efficace al raggiungimento di questa duplice categoria di obiettivi, occorre che le stesse siano dotate di vitalità e capaci di sostenersi economicamente che, tradotto in altri termini, significa essere in grado di generare redditività. Non può esistere multifunzionalità dell’agricoltura, tutela del paesaggio, garanzia di sicurezza alimentare senza redditività. Negli ultimi vent’anni, la superficie “gestita” a livello nazionale dagli agricoltori è passata da 15,1 a 12,7 milioni di ettari, evidenziando così una pericolosa tendenza all’abbandono e al degrado dell’ambiente rurale. Occorre comprendere come un tessuto agricolo vitale sia strategico per un Paese come l’Italia, per il quale il paesaggio, il territorio e l’ambiente rappresentano valori di estrema rilevanza per l’intero sistema socioeconomico nazionale. Basti pensare al ruolo svolto dal settore primario nella fornitura di prodotti agricoli per i consumatori, per la cultura e per l’industria alimentare: cosa sarebbe del modello di consumo alimentare, della cucina italiana e del “made in Italy” conosciuto nel mondo senza il contributo della produzione agricola nazionale? Purtroppo però, l’agroalimentare italiano rispetto ai principali competitor europei soffre di un ritardo competitivo di estrema rilevanza. Sul fronte internazionale, la quota diexport agroalimentare italiano nel commercio mondiale è passata, tra il 2004 e il 2008, dal 3,3% al 3%, sottendendo cali per tutti i principali prodotti del cosiddetto “made in Italy”: dal vino all’olio d’oliva, dall’ortofrutta agli insaccati. Nel mercato interno, l’invecchiamento dei consumatori (gli over 65 anni saranno il 33,6% della popolazione italiana nel 2050) unito al crescente aumento degli immigrati incide in maniera strutturale sui modelli di consumo; contestualmente, la rapida e progressiva affermazione in Italia della Grande Distribuzione Organizzata (la cui quota nella vendita di prodotti alimentari è passata dal 50,2% del 1996 al 70,5% nel 2008) ha completamente modificato le modalità di distribuzione dei prodotti agroalimentari ed allo stesso tempo cambiato profondamente le relazioni tra i vari attori della filiera, imprese agricole comprese. Senza dimenticare come, nel contesto dell’intera filiera alimentare, la marginalità sia strutturalmente limitata. La presenza di forti “sacche di inefficienza” e di una spiccata polverizzazione impediscono di fatto il ricorso ad economie di scala, implicando così una maggiore incidenza dei costi di lavoro, capitale e finanziamento. A fronte di tutti i costi considerati (sia interni alla filiera che esterni come trasporti, packaging, energia, ecc) si stima infatti un utile di filiera, cioè il valore che rimane agli azionisti/imprenditori, pari ad appena 3 euro su 100 del valore della spesa alimentare in Italia. Un guadagno che viene diviso tra tutti gli attori economici: imprese agricole, industrie alimentari, catene distributive. Perdita di competitività e modifiche strutturali nel mercato non potevano quindi non impattare direttamente sulla redditività delle imprese agricole. Complice anche una crisi economica internazionale senza precedenti, la redditività delle imprese agricole italiane è calata, tra il 2004 e il 2008 del 38%, contro una media europea che si è fermata ad un -7% e a quella delle imprese francesi rimasta sostanzialmente stabile. Se si allarga l’ambito di analisi al 2000 e si esclude il biennio segnato dalla crisi, il dato sul valore aggiunto per addetto agricolo mostra segnali di “involuzione” del settore ancora più preoccupanti: mentre le imprese dei principali paesi agricoli europei (Francia, Spagna, Olanda) evidenziano incrementi dell’indice compresi tra un +15% e un +23%, nel caso del nostro sistema agricolo si assiste ad un -2%. Dunque, mentre le imprese agricole europee crescono in termini di competitività e redditività, quelle italiane rimangono “al palo”. Gli obiettivi del Progetto di Confagricoltura L’obiettivo del Progetto è quello di intraprendere un percorso di modernizzazione per la competitività delle imprese agricole e di riorganizzazione dell’intero sistema primario. Un percorso che possa offrire al tessuto produttivo nazionale gli strumenti e le politiche per far fronte alle diverse sfide dell’instabilità dei mercati delle derrate agricole, della sicurezza alimentare, della concorrenza internazionale e del cambiamento climatico, ma soprattutto sia in grado di rendere le nostre imprese economicamente sostenibili. E’ questa la condizione imprescindibile affinché qualsiasi programma, politico ed economico, volto ad affrontare in maniera efficace i grandi cambiamenti che attendono il sistema socioeconomico ed ambientale, possa essere realizzato. Con questo Progetto, Confagricoltura intende dare risposta a questi obiettivi, esercitando un “ruolo guida” attraverso una coerente azione politica ed operativa, per giungere ad una condivisione su scala più ampia delle motivazioni e degli strumenti selezionati anche con attori e referenti di altre fasi della filiera alimentare. Per Confagricoltura è necessario promuovere una cultura dello sviluppo economico e riaffermare l’agricoltura come componente primaria del sistema economico che produce ricchezza, benessere, stabilità sociale e occupazione, restituendole pari dignità rispetto ad altri settori produttivi. Occorre, quindi, avviare un processo di riorganizzazione strutturale dell’agricoltura, attraverso l’azione politica e normativa stimolata dai risultati raggiunti dagli imprenditori a favore di strategie di intervento per il rafforzamento degli elementi di competitività delle imprese o di reti di imprese; e da una nuova consapevolezza sindacale, che, con al centro l’agricoltore e non le sovrastrutture dell’agricoltura, renderà gli stessi agricoltori più consapevoli e capaci di una efficace lobby e di un rinnovato protagonismo nell’economia nazionale. Il Progetto di Confagricoltura presenta quindi finalità politiche, poiché individua una idonea iniziativa legislativa quadro di radicale modifica e innovazione dell’attuale quadro normativo, utile a favorire l’efficienza e l’efficacia dell’attività di impresa e la competitività della stessa; economiche, perché si pone come obiettivo principale la tutela e la crescita del reddito dell’agricoltore; sindacali, perché grazie alla convergenza degli obiettivi di sviluppo e degli strumenti con cui raggiungere tali finalità con altri soggetti della filiera alimentare, potrà essere facilitata l’azione di lobby e di rappresentanza degli interessi. Il Progetto di Confagricoltura si caratterizza per essere innovativo, nei contenuti e nelle modalità operative e in netta discontinuità con le precedenti esperienze; aperto a tutti coloro che condividono gli obiettivi di sviluppo, di crescita reddituale e di competitività delle imprese e quindi capace di ridisegnare il sistema della rappresentanza; leggero, senza appesantimenti “burocratici” ma principalmente orientato a privilegiare competenze, know how, accordi e sinergie tra imprese. L’approccio del Progetto politico-economico di Confagricoltura Lo scenario economico descritto precedentemente non lascia spazio ad ipotesi di sviluppo delle imprese agricole italiane che non siano necessariamente accompagnate da un radicale ed organico percorso di riorganizzazione e modernizzazione dello stesso sistema agroalimentare. Il Progetto di Confagricoltura affronta questo percorso, attraverso l’individuazione delle criticità che insistono negli svariati fattori di competitività delle imprese per identificare così aree di intervento e strumenti operativi in grado di raggiungere l’obiettivo di aumento della redditività. Aumento che, garantendo una sostenibilità economica di lungo periodo, permetta di riportare il settore agricolo italiano al suo ruolo centrale e strategico sia nella filiera alimentare che nell’economia nazionale. Le proposte finalizzate al raggiungimento di tale obiettivo attengono sia l’ambito pubblico (normative che regolano l’attività agricola) sia l’ambito privato delle singole imprese e vengono identificate secondo un approccio “integrato” e non disgiunto. La proposta normativa, identificata da Confagricoltura secondo un approccio proattivo, contribuisce così ad innovare il contesto legislativo ed a eliminare i vincoli e le barriere esistenti nel quadro di regolamentazione, che non permettono una piena operatività delle imprese, sia dal lato dell’efficienza (nella riduzione dei costi) che dell’efficacia (nella valorizzazione dei propri prodotti sul mercato). Il Progetto di Confagricoltura dà vita quindi ad un processo di riorganizzazione strutturale dell’agricoltura italiana attraverso la disamina seria e completa di tutti i fattori che incidono sulla competitività delle imprese agricole, e che nell’ambito dell’arco temporale di un triennio, porterà all’identificazione di interventi e proposte legislative finalizzati ad eliminare le criticità esistenti e a raggiungere precisi obiettivi di sviluppo.