Mobilitazione sindacale

01/02/2012

Il 30 gennaio scorso i dirigenti di Confagricoltura e Cia Alessandria hanno incontrato il Prefetto, i politici alessandrini ed i sindaci della provincia per sensibilizzarli sui gravi problemi che il decreto Monti ha creato al mondo agricolo locale.
L’IMU, la nuova Imposta Municipale Unica, colpirà direttamente gli agricoltori ed il prezzo da pagare sarà salato: il Governo Monti ha deciso di intervenire con la scure anche sul settore agricolo, in particolare per quanto riguarda la tassazione sui beni immobili delle aziende agricole.
I fondi agricoli e i fabbricati rurali sono strumenti di lavoro, con l’introduzione della nuova Imposta Municipale ad essere tassata non sarà la proprietà, ma la produzione. Il Governo Monti ha così volutamente ignorato due consolidati principi, l’uno tributario e l’altro economico.
Varie sentenze hanno sancito che gli edifici, in quanto strumentali all’attività fondiaria, sono già tassati allorquando vengono pagate le imposte (Irpef e Ici) sui terreni. L’introduzione dell’IMU sui fabbricati rurali rappresenta quindi una doppia tassazione. L’agricoltura è poi un settore notoriamente ad alta patrimonializzazione ma a bassa redditività, ovvero serve un alto capitale in immobili per produrre un piccolo reddito.
È quindi chiaro che spostare l’imposizione dal reddito al patrimonio, così come nei progetti del Governo Monti, rappresenta un grave danno per l’agricoltura. L’aliquota di base dell’imposta è pari allo 0,76 per cento. I comuni con deliberazione del consiglio
comunale, possono modificare, in aumento o in diminuzione, l’aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali.
Per i fabbricati iscritti al catasto, il valore sul quale applicare l’aliquota di base, si ottiene applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto rivalutato, del 5%, i seguenti moltiplicatori:
- 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10;
- 60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D.
L’aliquota è ridotta allo 0,4 per cento per l’abitazione principale e per le relative pertinenze.
I comuni possono modificare, in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino a 0,2 punti percentuali. L’aliquota è ridotta allo 0,2 per cento per i fabbricati rurali ad uso strumentale e i comuni possono ridurre la suddetta aliquota fino allo 0,1 per cento. Per i terreni agricoli, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all’ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, rivalutato del 25 per cento, un moltiplicatore pari a 130, ridotto a 110 per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali.
Questa riforma fiscale conferisce alle amministrazioni comunali la facoltà di dimezzare l’aliquota prevista per i fabbricati rurali e di ridurre sensibilmente l’aliquota prevista per i terreni agricoli. Nelle loro mani è stato messo una buona fetta del destino
dell’agricoltura del loro territorio.
Non stiamo chiedendo di essere esentati, nè tanto meno un atto di bontà, ma solamente una dimostrazione di buonsenso in difesa di tutto ciò che l’agricoltura rappresenta e produce per il nostro territorio. L’agroalimentare, primo settore produttivo italiano di cui il sistema agricolo è base, corre il pericolo di collassare. Il rischio tangibile è che molte aziende agricole siano costrette a chiudere non solo per i costi insostenibili, ma anche per i vincoli imposti dalla burocrazia che ogni anno ruba un centinaio di giornate lavorative.
Evidenziamo che l’IMU, la rivalutazione degli estimi catastali, l’aumento delle accise sui carburanti e la rideterminazione degli oneri previdenziali, si uniscono ai tradizionali problemi del settore: la diminuzione dei consumi di beni alimentari, i gravosi
oneri burocratici, i bassi prezzi alla produzione, le difficoltà di accesso al credito, i rapporti conflittuali con l’industria di trasformazione e la grande distribuzione organizzata, l’inadeguatezza delle infrastrutture.  In questo modo si tolgono stimoli ai giovani che si vedono costretti ad abbandonare il settore perché non redditizio.
Ma non avere più imprenditori agricoli significa non supportare più i nostri prodotti tipici, non poter più puntare sul Made in Italy alimentare, non avere più figure che con il loro operato rappresentano anche una salvaguardia in merito alla tutela del
territorio.
Per salvare l’Italia, non si può far morire l’agricoltura. Tutti gli indicatori dicono che il settore dell’agricoltura a livello globale sarà il vero grande business del terzo millennio e per questa ragione chiediamo alla politica e al Governo di mettere nella propria agenda anche il mondo agricolo.
Vogliamo richiamare alla stessa sensibilità tutti i primi cittadini perché non è possibile trattare un bene che produce reddito attraverso la sua coltivazione, come un bene che viene acquisito per intenti speculativi da parte di soggetti terzi rispetto al mondo agricolo.
L’intervento presso le amministrazioni pubbliche è volto a scongiurare la scomparsa di un tessuto di imprese che crea occupazione, garantisce l’equilibrio idrogeologico e produce quella tipicità che rende unico l’agroalimentare del nostro paese.
Il mondo agricolo non chiede particolari favori e vuole dare il suo contributo al Paese, ma i sacrifici devono essere equi e sostenibili. Per senso di responsabilità abbiamo scelto di non manifestare in piazza, ma la manovra approvata dal Governo riserva forti iniquità  al settore primario che devono essere corrette. Chiediamo al Governo di valutare nuovamente le stime di impatto dell’imposta per eventuali sue correzioni, avendo riguardo alle diverse funzioni degli immobili rurali.
Infine Confagricoltura e CIA ribadiscono il loro costante impegno per una completa unità del mondo agricolo, che non si è potuta concretizzare in questa occasione.