La nostra agricoltura fra sondaggi, statistiche e mode

01/09/2016

L’estate del 2016, che si avvia alla conclusione, sarà ricordata da noi agricoltori non solo per le peculiarità tipiche del nostro lavoro (meteo, prezzi bassi e crisi dei vari settori), ma anche per il continuo bombardamento di sondaggi, a volte con risultati contrastanti fra loro, che tentano spesso di dipingere il settore agricolo come una specie di El Dorado in questi anni di crisi.
Una organizzazione di giallo vestita, che ha fatto dei suoi sondaggi una vera e propria priorità, a volte toccando temi che dovrebbero riguardare più una associazione di tutela dei consumatori che una di agricoltori, dipinge una agricoltura italiana con migliaia di nuove imprese condotte da giovani, per il 50% laureati, che nel 57% dei casi fa innovazione e che in percentuali vicine all’80% sono orgogliosi e soddisfatti della propria attività. Tutto questo grazie al Governo che ha consentito alle imprese under 35 di avere superfici del 54% superiori alla media, un fatturato superiore del 75% e il 50% di occupati in più rispetto ai loro colleghi più anziani. Prontamente il ministro Maurizio Martina raccoglie l’assist e, in una intervista al Corriere della Sera del 17 agosto, informa gli italiani dei successi di questa nuova “agrogeneration”, suffragato dai dati ISTAT.
Il lettore che avesse voluto controllare cosa dicessero veramente i dati dell’istituto in questione (l’ISTAT è pur sempre l’istituto di statistica ufficiale dello Stato italiano), avrebbe però avuto la sorpresa di leggere che fra il 2005 e il 2015 la PLV (Produzione Lorda Vendibile) agricola italiana è aumentata del 14% contro il 22% della UE. Che nello stesso periodo l’occupazione agricola è scesa di circa 100.000 unità e che il saldo della bilancia commerciale italiana è negativo per 6 miliardi di euro!
Se non ci fidiamo dell’ISTAT, forse possiamo fidarci di EUROSTAT che certifica che fra il 2005 e il 2014 i redditi agricoli italiani sono aumentati del 14% contro il 40% della media europea. Mai scollamento fu più netto fra narrazione e realtà.
In un periodo storico nel quale si ripetono le notizie però solo per sentito dire oppure le si condividono sui social senza verificarne la veridicità e soprattutto è importante seguire le mode del momento, la gente crede a quello che legge.
Per motivi di spazio non vado oltre, ma vi invito a leggere (lo trovate su internet) l’articolo di Antonio Pascale sul Foglio del 21 agosto scorso, che tenta di spiegare che non è sempre vero quello che appare adesso come un assioma ripetuto dai più e cioè che il cibo di una volta fosse migliore. I nostri padri e i nostri nonni, che erano molto più bio e molto più slow di noi, hanno sviluppato tanti di quei cambiamenti genetici e agronomici, che hanno di gran lunga migliorato le caratteristiche organolettiche e sanitarie di frutta, verdura, cereali e latticini. E di questo adesso noi beneficiamo.
Tutte queste cose che noi agricoltori sentiamo e leggiamo, ben sapendo come stanno veramente le cose, fanno aumentare una dote che è innata in ognuno di noi e tipica del nostro lavoro: la pazienza.

Luca Brondelli